STORIA DELLE FORME MUSICALI LITURGICHE/8
CREDO – Inizialmente, il Credo, era riservato come professione di fede da parte di coloro che desideravano ricevere il battesimo. In seguito, nel 515, il patriarca monofisita di Costantinopoli Timoteo decise che, prima dell’offertorio tutti dovessero professarlo. Tale uso divenne obbligatorio nel 568 per volontà dell’imperatore Giustiniano II. Nel 589, durante il Concilio di Toledo, venne ordinato, grazie al volere degli ariani Visigoti convertiti al cattolicesimo (i quali volevano offrire pubblica testimonianza della loro conversione), che in tutta la Spagna si introducesse il Credo ed esso venne, così, introdotto prima del “Pater noster”. Carlo Magno lo prescrisse dopo il vangelo e, ben presto, tale uso si uniformò in tutta la Francia. A Roma il Credo, sinora riservato alle solennità, venne introdotto a tutte le messe domenicali solamente all’inizio del Mille da papa Benedetto VIII. Benché chiamato, comunemente, niceno-costantinopolitano (derivante, cioè, dal documento di condanna dell’eresia ariana scaturito dal Concilio di Nicea-Costantinopoli del 325), il Simbolo, come noi lo recitiamo, non è né niceno né costantinopolitano. Infatti nel Simbolo di Nicea non veniva nominato lo Spirito Santo ed era anche assai meno sviluppato. Il concilio di Costantinopoli del 381 non varò nessun simbolo, in quanto quello di Nicea si era progressivamente sviluppato con le varie aggiunte dei Padri tanto già da poterlo quasi leggere in Epifanio nel 374.
Una caratteristica fondamentale è che il Credo entra nella liturgia cantato, non recitato, come testimonia un dialogo che ebbe luogo nell’810 tra i rappresentati di Carlo Magno e Leone III:
Rappresentanti C.M.: «Numquid non a te idipsum symbolum est data in ecclesia cantandi licentiam? numquid a nobis hic husus illum cantandi processit?»
Leone III: «Ego licentiam dedi cantandi non autem cantando quidpiam addendi».
Anche le testimonianze successive non lasciano dubbi sul fatto che il Credo a Roma sia entrato subito in canto: Amalario, Ordinis missae expositio, c. 9: «Cantatur quidem Credo in unum Deum»; (cfr anche Walafrido Stradone, De exordiis et incrementis quarumdam in observationibus ecclesiasticis rerum, c. 22; Ordo romanus V, n. 40; O.R. IX, n. 21; O.R. X, n. 32).
Oggi è d’abitudine affermare che, per le famose “esigenze pastorali” e per salvaguardare la “partecipazione attiva”, la professione di fede non si canta ma va recitata quando, in realtà, sarebbe esattamente il contrario!!!
Si noti anche qui, come per il Gloria, che il Credo non è un canto responsoriale: niente banali ritornellini, dunque.
8/continua (Offertorio).